Karate

Le divergenze tra le correnti

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il Giappone attraversa un periodo di grande difficoltà e ricostruzione. Anche nel mondo del Karate, la ripresa non è immediata, ma alcuni tra gli allievi sopravvissuti di Gichin Funakoshi iniziano a riunirsi e ad allenarsi nuovamente a Tōkyō. Gradualmente, la Scuola Shōtōkan riprende vita.

Nel 1949 viene fondata la Japan Karate Association (JKA), con Funakoshi — ormai ottantunenne — nominato presidente onorario. La nuova organizzazione nasce su iniziativa di ex membri dei club universitari che si erano formati prima del conflitto e che, nel dopoguerra, si riorganizzano con l’obiettivo di strutturare il Karate come disciplina moderna. Tuttavia, fin dall’inizio, la JKA racchiude al suo interno tre orientamenti distinti, espressione di visioni divergenti sull’eredità del Maestro.

Nel tempo, dalla matrice comune dello Shōtōkan si sviluppano tre principali correnti:

  1. JKA – Japan Karate Association
    È il ramo più conosciuto a livello internazionale, diretto inizialmente dagli ex allievi dell’Università Takushoku. Sotto la guida del maestro Masatoshi Nakayama, la JKA codifica un sistema didattico rigoroso, sviluppa il combattimento libero (kumite) secondo criteri sportivi e promuove il Karate in chiave competitiva, soprattutto per quanto riguarda il kata. Questo orientamento enfatizza la potenza delle tecniche, la precisione dei movimenti e l’efficacia nel confronto.
  2. I Club Universitari storici
    Alcune università, in particolare la Keiō — dove Funakoshi aveva cominciato a insegnare già negli anni Venti — mantengono una propria autonomia e continuità nella trasmissione dello stile. Pur legati allo spirito originario, questi gruppi conservano caratteristiche didattiche e culturali specifiche, e rappresentano un ponte tra l’insegnamento del fondatore e le trasformazioni successive.
  3. Shōtōkai
    Fondata formalmente nel 1956, la Shōtōkai nasce come espressione di allievi storici del Maestro — tra cui Shigeru Egami e Genshin Hironishi — con l’intento di preservare il Karate così come era stato concepito da Funakoshi. Il suo obiettivo è mantenere un approccio non competitivo, centrato sulla ricerca personale, sulla fluidità del movimento e sul significato profondo della disciplina. Nel tempo, si distacca completamente dalle forme sportive e diventa una scuola autonoma, pur conservando nel nome il riferimento a “Shōtō”, pseudonimo poetico del fondatore.

Nel 1957, Gichin Funakoshi muore. La sua scomparsa porta alla luce i contrasti latenti tra le varie anime del Karate Shōtōkan. Quando si tratta di organizzare la cerimonia funebre, emergono tensioni evidenti: la JKA pretende di gestire l’evento in esclusiva, escludendo gli altri allievi storici. Questo atteggiamento genera indignazione, in particolare tra i rappresentanti della Shōtōkai, che avevano accompagnato Funakoshi nella fase finale della sua vita.

La famiglia del Maestro si oppone a questa pretesa, ricordando che, dopo la distruzione dello Shōtōkan durante la guerra, l’unica organizzazione di cui Funakoshi era effettivamente presidente rimaneva la Shōtōkai. La JKA, dal canto suo, sostiene che il Maestro era ancora il suo consigliere tecnico e, in nome di questo titolo, rivendica il diritto di guidare le esequie.

Nonostante un tentativo di mediazione da parte di Egami, le fratture si consolidano. Da quel momento, le divergenze tra le correnti si fanno irreversibili, non solo sul piano organizzativo ma anche su quello tecnico, etico e simbolico. La JKA prosegue il cammino sportivo e internazionale; la Shōtōkai approfondisce una visione del Karate come via interiore e non agonistica; i club universitari mantengono una continuità storica ma si trovano a scegliere progressivamente tra le due direzioni principali.

Il maestro Funakoshi aveva sempre inteso il Karate come un mezzo di formazione del carattere, una disciplina rivolta all’equilibrio tra corpo e spirito. Dopo la sua morte, le sue eredità si dividono in strade parallele, ognuna delle quali rivendica, a modo proprio, la fedeltà a quell’insegnamento originario.

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