Il percorso di Shigeru Egami: gli errori
Il cammino marziale di Shigeru Egami è segnato da passaggi profondi e riflessioni autentiche, frutto di una lunga esperienza e di una radicale revisione interiore. Egli stesso racconta come, nella sua giovinezza, abbia abbandonato la strada tracciata, perdendosi in un labirinto fatto di convinzioni errate e pratiche che lo allontanavano dall’essenza vera del Karate: «Un giorno della mia giovinezza mi sono perso, ho abbandonato questo sentiero e mi sono trovato in un labirinto… Ci ho messo del tempo a capire questa situazione e, per tornare sulla buona strada ho dovuto attraversare un periodo penoso e difficile. Quando mi sono ritrovato sulla buona strada, avevo già più di quarant’anni. Ma ritrovarmi in una giusta via mi ha riempito di gioia, e da quel giorno ho potuto far fronte a tutti i tipi di difficoltà e sono arrivato in ogni caso fino all’ultimo punto del sentiero che il mio Maestro aveva tracciato. Non bisogna mai aver fretta, è la lezione che ho tratto dalle mie esperienze…»
Nel 1936, il gruppo degli allievi si riunisce attorno al Maestro Yoshitaka Funakoshi per fondare lo Shōtōkan. Il Dōjō centrale diventa un punto di riferimento per il Karate emergente, e in quegli anni Egami, da poco laureato, si allena con costanza sia all’università che presso l’Honbu Dōjō. Racconta un episodio significativo avvenuto durante una sessione serale, mentre eseguiva con vigore la tecnica di fumikomi nel kata Tekki. Il colpo sul pavimento fu tanto potente da rompere in due una delle assi del parquet. Imbarazzato, Egami si avvicinò per scusarsi con il giovane Yoshitaka Funakoshi, il quale, sorprendentemente, lo incoraggiò con entusiasmo:
«Oh, è straordinario! Si direbbe che sia stato tagliato, non rotto. Per il parquet non è grave, è sufficiente farlo riparare».
Ma la scena non era passata inosservata agli occhi del Maestro Gichin Funakoshi, presente in sala. Con tono più austero, lo invitò a seguirlo nella sua stanza:
«Egami, lei ha fatto ancora una cosa del genere. Il vero allenamento non deve essere ciò che lei ha fatto. Nell’allenamento di un tempo, non facevamo cose così brutali. In un vero allenamento, bisogna posare una porta di shōji sul suolo e versarci sopra dell’acqua. Si alleni su questo foglio senza strapparlo e si sposti senza rompere le fini armature di legno pur esercitandosi alle tecniche con potenza. Capisce perché e cosa dobbiamo ricercare nella tecnica?»
Questo rimprovero, tanto diretto quanto illuminante, si rivelò per Egami un momento di svolta. Fu uno di quei semi piantati nel profondo, destinati a germogliare con il tempo.
Shigeru Egami scopre il Karate nel 1924, durante gli anni del liceo, ma è solo all’università che inizia una pratica intensa e costante. Tuttavia, il tipo di allenamento a cui si sottopone, pur duro e formativo, si basa su metodi che nel tempo egli stesso riconoscerà come erronei: colpi violenti, ricerca della forza fisica, potenziamento estremo del corpo e dello spirito combattivo. Un approccio che lo allontana progressivamente dal cuore dell’arte marziale. Allenamenti esasperati, l’uso del makiwara reso più duro, scontri impegnativi e ripetizioni forzate: tutto questo, col passare degli anni, non porta Egami alla vera comprensione del Karate. Si rende conto che chi è già forte, può diventarlo ancora di più, ma che esiste un limite umano che la forza fisica, da sola, non può superare. Questa consapevolezza matura lentamente, fino a farlo giungere alla conclusione che la via intrapresa era sbagliata. Serve una nuova direzione, un ritorno all’essenza: riscoprire il significato profondo del Karate, quello trasmesso dal suo Maestro con pazienza, rigore e una visione spirituale. Il percorso di Egami, segnato da errori e intuizioni, è un potente esempio di quanto la pratica marziale non sia solo disciplina fisica, ma anche e soprattutto un viaggio interiore.
Fonti principali:
- Kenji Tokitsu, Storia del Karate – La via della mano vuota, Luni Editore, 2001.
